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Inflazione USA al +8,5%, il picco è stato raggiunto?

Le pressioni inflazionistiche scendono e mostrano il dato più basso da aprile scorso. Invariato l’indice Core al +5,9%.

Fonte: Bloomberg

Le pressioni inflazionistiche statunitensi relative al mese di luglio sono scese al +8,5% anno su anno, più delle previsioni del consensus che stimavano un valore pari al +8,7% a/a. Il dato indica quindi una chiara flessione dell’inflazione rispetto al valore di giugno fermo al +9,1% a/a.

Tuttavia, l’inflazione al +8,5% a/a rimane comunque elevata - ai massimi da 40 anni - e ben lontana dal target del 2% a/a previsto dalla Federal Reserve.

Anche l’indice Core (che esclude dal calcolo i volatili panieri dei beni alimentari e dell’energia) ha mostrato un assetto stabile al +5,9% a/a - lo stesso del mese di giugno - sorprendendo il mercato che si aspettava un aumento a luglio al +6,1% a/a.

Il calo è da imputare principalmente al raffreddamento dei prezzi del petrolio nel mese di luglio dove l’oro nero ha toccato i minimi dal febbraio scorso sulla scia delle aspettative pessimistiche riguardo alla domanda futura e alla chiusura delle attività in Cina (grande importatore di materie prime) a causa di una ripresa dei casi di Covid-19.

Inoltre, alla luce dei dati sul mercato del lavoro di venerdì scorso, Non-Farm Payrolls a 528mila a luglio e disoccupazione in calo al livello pre-pandemia del 3,5%, vi è un’altra dimostrazione che una grossa componente della crescita dei prezzi è dovuta alle sole materie prime, nonostante l’economia statunitense rimanga comunque surriscaldata e vicina alla piena occupazione.

Gli effetti sui mercati

Le Borse esultano dopo la pubblicazione del dato con Wall Street che mostra un deciso rialzo in apertura di seduta grazie alle aspettative di una riduzione delle probabilità di una recessione nel breve termine. Il NASDAQ mostra un apprezzamento del +2% mentre l’S&P 500 è in rialzo dell’1,7%.

Infatti, i mercati stanno scontando una rinormalizzazione della politica monetaria della Federal Reserve che - secondo le loro aspettative - potrebbe abbassare i tassi di interesse nel medio periodo o alzarli meno del previsto nel breve termine.

Tuttavia, la questione è ben più complicata. Il governatore della Federal Reserve, Jerome Powell, ha dichiarato nelle scorse settimane che la banca centrale dovrà vedere “un significativo calo dell’inflazione” prima di poter agire sui tassi abbassandoli.

Nonostante ciò, il picco nella crescita delle pressioni inflazionistiche potrebbe davvero essere già stato raggiunto grazie al forte calo dei prezzi delle materie prime, in particolare quelle energetiche come il petrolio, che sono una componente importante nel calcolo dell’inflazione.

Gli effetti sul cambio EUR/USD

Anche la coppia EUR/USD scatta al rialzo toccando un massimo di 1,0346, una variazione del +1% in meno di 15 minuti. L’eurodollaro ha toccato dunque il picco da circa un mese anche se poi si è stabilizzato sul livello di 1,0309.

Il movimento al rialzo è sicuramente un segnale importante per il biglietto verde visto che la debolezza del dollaro nell’ultimo mese si era acuita (anche contro altre valute come il JPY).

Le previsioni

Il dato positivo sull’inflazione statunitense è sicuramente incoraggiante per i mercati che si aspetteranno ulteriori cali nei prossimi mesi. Tuttavia, è ancora troppo presto per affermare che le pressioni inflazionistiche hanno iniziato una vera tendenza discendente visto che sono da tenere in considerazione molte altre variabili dalle difficili previsioni.

Nonostante ciò, se un ribasso dell’inflazione statunitense dovesse essere rilevato anche nei prossimi mesi, il mercato si aspetterebbe sicuramente una revisione della politica monetaria della FED perlomeno con un rialzo dei tassi molto più “soft” (50 pb) rispetto ai 75 punti base previsti dal consensus.

Sulla scia di questo, il mercato si attende ora anche una riduzione del livello dei tassi di interesse a fine anno con le aspettative del consensus che sono scese al 3,4% rispetto al precedente 3,6%.

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