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Brexit: stasera l’addio di Londra all’Ue, ma gli indici globali non sembrano accorgersene

Pochi movimenti sui listini, che scontano per lo più l’effetto coronavirus (e i buoni dati di Amazon su Wall Street). Ma cosa accadrà da domani a Londra?

Uomo a passeggio con bandiera Brexit Fonte: Bloomberg

Dopo 45 anni nell’Unione Europea, di cui gli ultimi tre passati a cercare di tirarsene fuori, stasera a mezzanotte (ora italiana) il Regno Unito cesserà formalmente di far parte dell’Unione Europea.

La notizia in realtà fa restare i mercati abbastanza calmi. A scuotere i listini è piuttosto l’espandersi esponenziale del coronavirus, con l’Oms che ha dichiarato l’emergenza a livello globale e la Russia che ha chiuso le frontiere con la Cina.

Cosa comporterà la Brexit nell’immediato?

Quella di stasera si può definire una Brexit “politica”: serviranno infatti ancora altri 11 mesi per perfezionare trattati commerciali con l’Unione Europea. Se, entro la fine di dicembre 2020, il governo Johnson non sarà riuscito a stringere in mano l’accordo, si prospetterà lo scenario, a lungo paventato, di una “no deal” Brexit.

Nel frattempo, i funzionari britannici in servizio presso le istituzioni europee resteranno al loro posto, mentre – fattore ben più rilevante – Londra continuerà a contribuire al budget comunitario. Il vero termine, dunque, sarà in realtà la fine di dicembre 2020.

Oggi intanto i tre vertici delle istituzioni europee – Ursula von der Leyen, David Sassoli e Charles Michael – si incontreranno per la dichiarazione formale dell’addio di Londra. Previsto anche un incontro a margine tra il presidente francese Emmanuel Macron e il responsabile delle negoziazioni europeo con Londra, Michel Barnier.

E per i cittadini? Pochi si renderanno davvero conto della differenza. Le quattro libertà fondamentali dell’Ue (libertà di circolazioni di persone, merci, servizi e capitali) continueranno infatti ad essere in vigore fino a dicembre 2020.

Come cambierà il commercio globale?

Nel frattempo, Johnson sta già lavorando per garantire una Brexit ordinata – o, per lo meno, sta facendo del suo meglio. L’ultimo scontro risale alla settimana scorsa, durante il World Economic Forum, al quale il premier non ha voluto partecipare chiedendo di astenersi anche ai suoi ministri, al suon di “get Brexit done” – il che, dunque, avrebbe richiesto la loro presenza e tutto il loro impegno a Londra.

Unico presente a Davos era Sajid Javid, il ministro delle Finanze del Regno Unito. Se sia stato un bene o un male, si capirà nei prossimi mesi: fatto sta che le sue parole sulla Brexit sembrano aver infastidito non poco gli Stati Uniti. Vicino a Javid sedeva infatti Stephen Mnuchin, segretario del Tesoro Usa. Nel momento in cui il ministro Uk ha nominato gli accordi commerciali sui cui Londra sta lavorando, annunciando che quelli con l’Ue e quelli con gli Usa procederanno “parallelamente”, Mnuchin non ha celato un certo disappunto: “Pensavo che saremmo venuti per primi”, ha dichiarato.

In seguito il confronto non ha fatto altro che peggiorare, quando la discussione è arrivata a toccare il delicato tema della digital tax: una battaglia tutta europea contro le aziende tech statunitensi che fanno profitti anche nel Vecchio Continente (Amazon, Facebook, Spotify tra le altre), la cui causa Londra ha felicemente sposato, nonostante le ripercussioni minacciate dagli Usa.

D’altra parte, laddove le minacce riguardano per lo più il settore automobilistico e i prodotti alimentari, non dev’essere difficile per Londra accettare la sfida – le economie più colpite dai dazi minacciati dagli Usa sarebbero soprattutto quella francese e, in misura minore ma pur sempre rilevante, italiana. Non a caso, a Davos Javid ha parlato della digital tax come di una misura “proporzionata e deliberatamente disegnata per essere temporanea. Cadrà non appena vi sarà un accordo internazionale”.

Dunque Londra si sta muovendo su due livelli, quello europeo e quello Usa. Da una parte, le tempistiche particolarmente strette per concludere accordi commerciali con l’Unione Europea richiederebbero una certa priorità; dall’altro, come già visto a Davos, ciò costituirebbe una provocazione nei confronti degli Stati Uniti, prima economia globale.

Come hanno reagito i listini europei?

In ogni caso, si tratta di un processo le cui conseguenze verranno osservate nel lungo termine. Al momento infatti non sembra che i mercati stiano subendo shock rilevanti per l’addio di Londra all’Ue. In queste ore i listini accusano soprattutto l’effetti coronavirus (i decessi sono saliti a 213, mentre i casi di contagio hanno oltrepassato i 9 mila).

Tutt’al più, una variabile degli ultimi giorni è stata la decisione della Bank of England di non procedere con un taglio del tassi di interesse. Il comitato esecutivo dell’istituto centrale infatti ieri ha deciso di mantenere i tassi allo 0,75%.

Ieri in mattinata la sterlina ha dunque subito un notevole apprezzamento nei confronti del dollaro, arrivando a quota 1,3110 – al momento la coppia valutaria segna 1,3114. Il cambio EUR/GBP scende invece a 0,8410, dopo aver raggiunto un minimo in mattinata a 0,8387.

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