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Prezzo del petrolio in rialzo: quali ostacoli davanti alla soglia dei 40 dollari?

Torna a salire il prezzo del barile, nonostante la difficoltà di Riad per far rientrare nei ranghi i membri dell’Opec: Iraq, Iran e Libia tra la prinicpali minacce alla produzione.

Piattaforma petrolifera Fonte: Bloomberg
  • Il prezzo del Brent torna sopra i 40 dollari al barile, il Wti oscilla ancora a 39,30 dollari
  • A settembre l’Iraq ha aumentato le esportazioni a 2,61 milioni di barili al giorno, più di quanto promesso in sede Opec
  • Torna a risalire anche l’export di Iran e Libia, soprattutto da quando Haftar ha tolto l’assedio dai siti petroliferi nella zona di Sirte

Oltre al miglioramento delle condizioni di salute del presidente Usa Donald Trump e indici Pmi relativi ai servizi migliori delle attese, oggi tra i fattori che guidano al rialzo le Borse c’è anche il tentativo di rimbalzo del prezzo del petrolio, che nelle ultime ore cerca di tornare al di sopra della soglia dei 40 dollari al barile.

La scorsa settimana il prezzo del greggio era crollato di oltre sei punti percentuali (il Wti) dopo che un sondaggio di Reuters ha rilevato un rialzo della produzione di circa 160 mila barili al giorno tra i paesi Opec rispetto ad agosto, per un totale di circa 24,38 milioni di barili al giorno prodotti a settembre. Di contro, negli Usa devastati dall’uragano Laura la produzione è scesa di 400 mila barili nell’ultimo mese.

Quali minacce all’orizzonte per il prezzo del petrolio?

L'iraq continua ad esportare

Secondo paese per produzione di petrolio all’interno dell’Opec e il più restio ad allinearsi alla politica dei tagli alla produzione, l’Iraq nell’ultimo mese ha esportato oltre 78 milioni di barili di petrolio, ovvero circa 2,6 milioni di barili al giorno: più di quanto permesso nell’ambito dei tagli alla produzione istituiti in casa Opec+, meticolosamente studiati in vista di un rialzo del prezzo del greggio. Tuttora, a poco meno di 40 dollari al barile, difficilmente infatti il greggio raggiunge il prezzo di break-even in molti dei paesi del Medio Oriente.

E infatti non ci è voluto troppo prima che Riad intervenisse a riprendere l’Iraq, chiedendo di attenersi ai tagli concordati nel 2017 e implementati lo scorso 10 aprile. Ad agosto sembrava che Baghdad fosse disposta ad allinearsi al resto dei paesi esportatori, tagliando la produzione di circa 200 mila barili al giorno (la produzione era passata da 2,76 milioni di barili al giorno a 2,59 milioni), salvo poi risalire a settembre, a 2,61 milioni di barili al giorno.

Per avere un’idea della produzione degli ultimi mesi, l’Arabia Saudita – leader dell’Opec e principale fautrice dei tagli alla produzione - è passata dagli oltre 10 milioni di barili al giorno esportati ad aprile (al tempo della guerra dei prezzi, quando Riad ha iniziato letteralmente a inondare il mercato di petrolio) a 6,02 milioni a maggio, fino ad arrivare a circa 4,5 milioni di barili al giorno a giugno – un calo della produzione di 3,5 milioni di barili la giorno, uno in più rispetto a quando preventivato in sede Opec+, per compensare i mancati tagli dei paesi più riottosi.

Tra questi ultimi compariva la Nigeria, che invece nei mesi ha effettivamente dato seguito alle promesse di tornare in linea con quanto promessi, mentre nell’ultimo mese l’Angola ha prodotto circa 60 mila barili al giorno, per via di un aumento delle esportazioni.

La situazione in Iran e Libia, i paesi Opec esenti dai tagli

Eppure, nel frattempo, settembre ha marcato il terzo mese consecutivo di rialzi nella produzione di greggio – e l’Iraq non è il solo responsabile.

Non tutti i membri dell’Opec sono infatti sottoposti al contingentamento dell’estrazione infatti e, tra questi, nelle ultime settimane alcuni avvicendamenti economici e politici hanno portato a un aumento della produzione - che, nella maggior parte dei casi, corrisponde alla principale, se non l’unica, fonte di sostentamento nazionale.

È il caso dell’Iran, esentato dai tagli alla produzione a causa delle sanzioni imposte dagli Stati Uniti nel 2018 all’indomani del ritiro dall’accordo sul nucleare, e della Libia.

A settembre i dati mesi insieme da TankerTrackers, il servizio di tracciamento delle petroliere indipendente, indicano un aumento delle esportazioni da parte dell’Iran corrispondente a 1,5 milioni di barili al giorno, il massimo da un anno e mezzo e il doppio rispetto ad agosto.

L’entità effettiva del volume di esportazioni dall’Iran resta comunque abbastanza vago, considerando la difficoltà di tracciare gli spostamenti di barili da petroliera a petroliera (nella maggior parte dei casi i trasferimenti sono avvenuti tra navi battenti bandiere straniere), ma anche dal fatto che da quando, nel 2018, gli Usa hanno reintrodotto le sanzioni economiche verso Teheran, quest’ultima ha smesso di comunicar i dati relativi a produzione ed esportazione di petrolio all’Opec.

Diversa invece la situazione in Libia, con esito comunque analogo: aumento della produzione e delle esportazioni, stavolta dovuto a un relativo miglioramento delle condizioni politiche interne, con le truppe del generale Khalifa Haftar, uomo forte della cirenaica, che hanno abbandonato i siti petroliferi occupati dall’inizio dell’anno e permesso alle esportazioni di aumentare a settembre fino a 70 mila barili al giorno a settembre.

Come si sta muovendo oggi il prezzo del petrolio?

Dall’inizio della giornata il Wti ha riconquistato circa sei punti percentuali, fermandosi comunque a quota 39,25 dollari, mentre il Brent è riuscito a tornare al di sopra dei 40 dollari (41,40 dollari), in rialzo del 5,42%.

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