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Quotazioni oro ai massimi da giugno a $1.877

Il metallo giallo continua la sua scalata grazie all’indebolimento del biglietto verde, alle aspettative positive sui tassi Fed e agli acquisti da parte della PBoC.

Fonte: Bloomberg

Questa mattina le quotazioni dell’oro erano in rialzo del +0,38% fino a $1884/oz sulle continue aspettative di un calmieramento dei tassi da parte della Federal Reserve e sull’indebolimento del dollaro statunitense.

Nel pomeriggio il breakout rialzista si placa e il metallo giallo sale solo dello 0,02% a $1.877/oz.

Tuttavia, secondo alcune fonti, a pesare sulla furibonda risalita dei prezzi della materia prima sono soprattutto gli ingenti acquisti da parte degli investitori istituzionali, banche centrali in primis. Lo scorso 7 gennaio la PBoC (People’s Bank of China) ha annunciato di aver comprato 30 tonnellate di oro nel solo mese di dicembre oltre alle 32 già dichiarate a novembre.

Nonostante le dichiarazioni ufficiali, molti sostengono che i dati pubblicati dall’istituto monetario cinese - per la prima volta in tre anni - siano falsi e nascondano in realtà acquisti molto più cospicui. Al momento, la PBoC indica di aver accumulato circa 2.010 tonnellate di oro, il 3,4% delle proprie riserve.

Il mercato comincia dunque a sospettare che molte istituzioni stiano accumulando riserve del metallo giallo in quanto i movimenti rialzisti sono troppo sostenuti da poter giustificare una semplice reazione all’indebolimento del dollaro statunitense.

Secondo il World Gold Council le banche centrali stanno rastrellando lingotti d’oro a ritmi mai visti dal 1967, anno in cui vigeva ancora il sistema della convertibilità aurea mediante il dollaro (Gold-Exchange Standard) e la materia prima era utilizzata per fini intrinseci al regolare funzionamento del sistema finanziario mondiale.

A livello aggregato, nei primi nove mesi del 2022, le riserve auree sono cresciute di 673 tonnellate mentre nel solo terzo trimestre i dati segnalano un incremento ben sopra le attese per un totale di 399 tonnellate.

Le speculazioni su chi esattamente possa aver acquistato una tale quantità del metallo giallo rimangono ma molti investitori sono convinti che il cerchio degli indiziati si restringa attorno alle banche centrali, in particolare quella cinese e russa, insieme ai fondi sovrani, soprattutto quelli arabi, che stanno investendo gli eccessi di liquidità guadagnati per tutto il 2022 grazie ai prezzi record di gas e petrolio.

Le previsioni

Come già anticipato, l’oro sta cavalcando un rally iniziato lo scorso 3 novembre dai minimi di $1.616/oz che ora lo ha portato a rasentare quota $1.900 a $1.877.

Dal lato fondamentale non ci sono motivi per credere in un repentino calo delle quotazioni che sono sostenute dal calo del dollaro (che ha una correlazione negativa con l’oro), dalle aspettative di minori rialzi dei tassi di interesse da parte della Fed e da una generale incertezza di carattere macroeconomico che indirizza la liquidità verso beni rifugio come appunto l’oro.

Sul piano grafico, invece, il trend secondario rimane rialzista supportato dal superamento, il 6 gennaio, della resistenza fissata a $1.856, picco del 17 giugno scorso. Un forte segnale in tal senso deriverà dallo sfondamento della soglia dei $1.900 per attestarsi intorno ad area $1.910, massimo del 5 maggio 2022.

Importanti discese di prezzo rimangono improbabili anche se un segno in questa direzione potrebbe essere innescato dal cedimento del supporto che corrisponde al ritracciamento di Fibonacci del 38,2% a $1.793 (misurato a partire dal picco odierno). Un ulteriore ribasso sarà visibile solo dopo la rottura del sostegno posto a $1.739, bottom del 29 novembre.

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