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Prezzo del petrolio torna a scendere dopo aver toccato i 40 dollari al barile

All’indomani del vertice Opec+ di sabato, dove è stato deciso il prolungamento dei tagli alla produzione, gli operatori hanno reagito con una raffica di acquisti – subito ritracciati

I tagli alla produzione globale di petrolio proseguiranno almeno fino alla fine di luglio 2020: è quanto stabilito nella riunione Opec+ di sabato, quando i principali paesi esportatori di greggio e i loro alleati (Russia prima fra tutti) si sono incontrati per tentare di trovare la quadra in un contesto di domanda al minimo e incerta tenuta dei prezzi.

Cosa è stato deciso nella riunione Opec+?

I tagli alla produzione, 9,7 milioni di barili al giorno, erano stati stabiliti lo scorso aprile per far fronte alla crisi dei prezzi che, unitamente al crollo della domanda causato dal coronavirus, ha portato il prezzo del Wti per la prima volta nella storia in territorio negativo.

Nei piani originari dell’Opec+, riunitasi poco prima della metà di aprile, la riduzione della produzione di circa il 10% del totale di greggio disponibile su scala mondiale avrebbe dovuto poi proseguire, dalla seconda metà del 2020, con tagli sempre più ridotti nel tempo: 7,7 milioni di barili in meno fino alla fine del 2020, che sarebbero scesi ancora a 5,8 milioni da gennaio 2021 ad aprile 2022.

Che non sarebbe stato sufficiente per far risalire il prezzo del barile ai livelli pre-coronavirus è stato chiaro fin da subito. L’Arabia Saudita, leader di fatto dell’Opec, non solo ha aumentato unilateralmente i tagli alla propria produzione per tentare di pilotare al rialzo il prezzo del greggio, ma per settimane ha anche intrattenuto stretti contatti con la Russia per ottenere da Mosca appoggio per ulteriori tagli.

La soluzione di compromesso è arrivata sabato: i tagli da 9,7 milioni di barili proseguiranno, ma solo fino alla fine di luglio – un mese in più dunque rispetto al previsto.

Quali sono i fattori da tenere d’occhio sul prezzo del petrolio?

Gli acquisti da parte della Cina

Spinta dai prezzi mai così bassi nella storia, nelle ultime settimane la Cina ha acquistato volumi record di greggio: 11,3 milioni di barili solo a maggio.

La Cina, primo importatore di petrolio al mondo, già all’indomani dell’accordo Opec+ di aprile aveva iniziato a rimpinguare le proprie scorte, approfittando del momento storico – e proprio queste importazioni furono tra i primi motivi di leggero rialzo del greggio, dopo i minimi di inizio aprile.

D’altra parte, i tagli alla produzione e il conseguente aumento dei prezzi che ne conseguirebbe pone nuovi dubbi sul futuro andamento della domanda – che, dopo l’exploit cinese delle ultime settimane, potrebbe tornare a stagnare.

La risposta Usa

I due fattori che più di tutti potrebbero portare a ulteriori movimenti sul mercato del greggio, nei prossimi giorni, arrivano entrambi dagli Usa: il dato sul volume delle scorte settimanali statunitensi, in pubblicazione mercoledì, e le previsioni della Federal Reserve, il cui intervento è atteso sempre per mercoledì e che renderà note le previsioni economiche post-coronavirus.

Rileva infine il fatto che, per quanto il prezzo del petrolio sembri lanciato verso una ripresa (sulla cui durata restano ancora parecchi dubbi), ancora non è abbastanza per compensare i costi di produzione dello scisto statunitense. Il numero di impianti petroliferi in funzione negli Usa è ancora ai minimi storici: nell’ultima settimana ne sono stati chiusi altri 16, portando il numero complessivo di quelli in funzioni a 206.

Come si sta muovendo il prezzo del petrolio oggi?

Le prime perplessità su un balzo così netto del prezzo del petrolio sembrano aver già ottenuto l’effetto opposto: dopo il picco delle prime ore del mattino, quando il Wti è arrivato circa 40,6 dollari al barile e il Brent a 43,3 dollari, il prezzo del greggio è infatti tornato a scendere, perdendo in poche ore circa il 5%.

Al momento, il Wti viene scambiato per 38,14 dollari al barile, mentre il Brent viaggia a 41,12 dollari.

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