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Federal Reserve contro Trump: i tassi d’interesse non si tagliano

La soddisfazione generale per il buon andamento dell’economia pone la questione del costo del denaro: da una parte il presidente Usa vorrebbe una riduzione ancora più drastica, dall’altro la Fed resta cauta

Jerome Powell Fonte: Bloomberg

Il duello tra il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e la Federal Reserve sui tassi di interesse non accenna ad affievolirsi - tutt’altro. L’intervento di Trump all’Economic Club di New York e quello del presidente della Fed Jerome Powell oggi davanti al Comitato Economico congiunto del Congresso hanno solo aggiunto le ultime stoccate.

Powell ha infatti dichiarato che la Fed non intende tagliare ulteriormente il costo del denaro, trovando che la situazione di “sostenuta espansione economica, forte mercato del lavoro e inflazione vicina all’obiettivo del 2%” sia abbastanza stabile da non richiedere modifiche.

Dall’altro lato, Trump aveva appena richiesto fortemente una manovra in tal senso, dopo aver sottolineato la sensibile crescita dei posti di lavoro e auspicando una riduzione dei tassi ancora maggiore rispetto al range 1,50-1,75% a cui la Fed era arrivata a metà ottobre.

Cosa ha detto Powell?

Nel 2019, la banca centrale statunitense ha tagliato i tassi d’interesse già tre volte. Secondo i funzionari della Fed, tali misure starebbero ancora dispiegando i propri effetti, da poter apprezzare sul medio-lungo termine: un ulteriore taglio nei non sarebbe dunque necessario, poiché l’attuale livello dei tassi sarebbe allineato alle previsioni di crescita della Fed.

Continuano oggi gli interventi dei membri Fed a livello statale. Per molti di loro la Fed non dovrebbe procedere con altri movimenti, almeno fino a quando non sarà raggiunto l’obiettivo di un’inflazione stabile al 2%.

Non si è parlato tuttavia solo di tassi. Powell è intervenuto anche sulla questione dei repo, tramite i quali la Fed ha provveduto a iniettare miliardi di dollari di liquidità nel sistema bancario, intorno alla metà di settembre. Non un cambiamento della politica monetaria, secondo Powell: piuttosto, si sarebbe trattato di “misure tecniche”.

Come ha reagito Trump?

Il presidente Usa sembra non essersi ancora espresso sulle ultime dichiarazioni di Powell, ma non è difficile indovinare la sua reazione: il presidente infatti preme da sempre per un taglio drastico del costo del denaro, come aveva già avuto modo di sottolineare in occasione dei precedenti tagli, che secondo il presidente non sarebbero stati abbastanza netti.

Durante il suo intervento a New York, Trump si è soffermato sulle condizioni del mercato del lavoro negli Stati Uniti. Da quando è alla presidenza Usa, ha dichiarato Trump, la sua amministrazione ha creato quasi sette milioni di nuovi posti di lavoro: “Se avessimo avuto la Fed dalla nostra parte, avremmo potuto aggiungere un altro 25% a questi numeri”, ha continuato.

D’altra parte, il discorso del presidente Usa ha fatto notizia soprattutto per la rigida posizione annunciata in relazione ai rapporti con la Cina e alla possibile firma di un accordo sulla “Fase 1” delle trattative commerciali. Trump non ha escluso la firma di una tregua, ma ha auspicato che un trattato del genere risponda a condizioni che convengono agli Usa.

Guerra commerciale: si avvicina una tregua?

Innegabilmente l’economia Usa sta guadagnando dalla politica “America first” di Donald Trump: funziona con la Cina, la cui economia comincia a scontare gli effetti di 16 mesi di guerra commerciale (gli ultimi dati sull’industria, pubblicati stamattina, registrano una produzione industriale annuale in rallentamento, dal 5,8% al 4,7%, a fronte di aspettative del 5,4% e investimenti fissi annuali passati da 5,4% al 5,2%, mentre il consensus attendeva il 5,4%), ma funziona anche con l’Europa, verso cui proprio oggi partiranno dazi sulle importazioni di automobili e componentistica del settore (la Germania, prima economia dell’Eurozona, si salva per poco dalla recessione, ma conferma risultati ancora troppo deboli).

Le speranze su una prossima conclusione dell’accordo si sono fatte sempre più scarse in queste ore, dopo il rally di ottimismo della settimana scorsa seguito all’annuncio di una probabile riduzione delle tariffe. È bastato che Trump negasse di aver mai dato il proprio consenso a tale compromesso, lunedì, e che ribadisse la sua posizione durante il discorso di New York. Resta ancora da definire persino il luogo dell’incontro per un’eventuale firma.

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