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Brexit, Johnson si tira indietro dall’accordo? Sterlina in forte calo

Per il premier britannico, o un accordo entro il 15 ottobre o no-deal Brexit. E, nel frattempo, già lavora per modificare gli accordi sul confine tra Irlanda e Irlanda del Nord. Giù la sterlina, cambio EUR/GBP risale a 0,89

Sterlina Fonte: Bloomberg

La pausa estiva e la crisi scatenata dalla pandemia di coronavirus negli ultimi mesi hanno fatto passare in sordina le discussioni sulla Brexit, come se Londra e Bruxelles potessero permetterselo. Invece manca sempre meno al 31 dicembre, data entro la quale, deal o no deal, il Regno Unito cesserà anche gli ultimi rapporti commerciali con l’Unione Europea – quelli politici sono già stati tagliati lo scorso 31 gennaio.

E, a quanto pare, sarà proprio una no-deal Brexit. O meglio, è quello che il premier britannico Boris Johnson ha annunciato nelle ultime ore: o si raggiunge un accordo entro il 15 ottobre, oppure il Regno Unito uscirà dall’Unione Europea senza accordo, definitivamente.

Il Regno Unito si tira indietro: verso una no-deal Brexit?

I temi caldi su cui trovare la quadra sono ancora diversi e spinosi: un accordo sul libero scambio, la valenza o meno delle sentenze della Corte di giustizia europea, i diritti sulle concessioni di pesca e, soprattutto, la questione del confine tra Irlanda e Irlanda del Nord – la nuova frontiera terrestre con un paese extra-Ue che si verrebbe a formare post-Brexit.

Domani appuntamento al Parlamento di Westminster, dove il partito conservatore di Johnson presenterà una legge con cui ha intenzione di rimettere in discussione il Withdrawal Agreement, lo stesso su cui un anno fa era caduto il governo di Theresa May e il cui compromesso aveva permesso a Johnson di vincere le elezioni dello scorso inverno.

Tra le questioni principali trattate dal Withdrawal Agreement c’è appunto quella del confine tra Irlanda e Irlanda del Nord che, all’indomani della Brexit, si troverà a diventare un nuovo confine terrestre dell’Unione Europea. Come trovare la quadra, in vista della continuazione degli scambi commerciali (controlli, dazi) tra Irlanda (membro Ue) e Irlanda del Nord (prossima regione extra Ue)?

Il Withdrawal Agreement riporta una soluzione di compromesso: per evitare una barriera fisica sul territorio dell’isola, i negoziatori Uk e Ue avevano accordato la possibilità di controlli sulle merci in entrata e uscita direttamente dai porti della Gran Bretagna, mentre l’Irlanda del Nord, pur restando parte del Regno Unito, sarebbe rimasta anche all’interno del mercato unico.

Dopo quattro anni l’Assemblea dell’Irlanda del Nord avrebbe potuto votare per decidere se continuare con tale regime “misto” o se uscire definitivamente dal mercato unico. Qualora decidesse di volerne uscire, seguiranno due anni di “transizione” prima dell’uscita definitiva.

Se non fosse che Jonhson ha annunciato che sarebbe in preparazione un nuovo pacchetto di leggi da presentare a Westminster che di fatto annullerebbero l'accordo, negoziato lo scorso autunno, in base al quale quello tra Irlanda e Irlanda del Nord avrebbe potuto essere un confine “sul mare”.

Secondo quanto riporta il quotidiano britannico “Guardian”, il tutto farebbe parte di una strategia per convincere l’elettorato britannico dell’inevitabilità di una Brexit senza accordo – e, dunque, con un confine rigido tra Irlanda e Irlanda del Nord, rilevante soprattutto dal punto di vista commerciale.

Come ha reagito l’Unione Europea?

“Confido che il governo britannico attui l'accordo di recesso, un obbligo ai sensi del diritto internazionale e prerequisito per qualsiasi futura partnership, il protocollo Irlanda/Irlanda del Nord è essenziale per proteggere la pace e la stabilità sull'isola e l'integrità del mercato unico” ha dichiarato oggi la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen.

Uno scenario che preveda l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea danneggerebbe infatti anzitutto le economie che più beneficiano degli scambi con Londra (Francia, Irlanda, Belgio) nel momento in cui alle regole di libero scambio comunitarie subentrino quelle dell’Organizzazione mondiale del commercio – e relativi dazi in entrata e in uscita.

Ritrosie anche da parte della Scozia, che nel 2016 votò con una maggioranza del 68% per il remain e, da allora, spina nel fianco del Regno Unito nel processo di divorzio dall’Unione Europea. Lo scorso dicembre l’Snp, lo Scottish National Party, ha raggiunto il 3,9% delle preferenze a Westminster, “chiaro endorsment” degli elettori scozzesi a un secondo referendum sull’indipendenza scozzese, secondo la premier scozzese Nicola Sturgeon.

Tesi che nelle ultime ore è stata confermata dal leder dell’Snp, Ian Blackford: “Minacciando di compromettere gli obblighi internazionali del Regno Unito e di imporre una catastrofica no-deal Brexit per la Scozia contro il nostro volere, il primo ministro dà prova di non essere meritevole di fiducia e rimarca il bisogno per la Scozia di diventare una nazione indipendente”, soprattutto in un momento storico in cui l’economia scozzese è già gravemente danneggiata dalla pandemia di coronavirus.

Come si sta muovendo il cambio euro-sterlina?

Per tutta la giornata, le pressioni internazionali hanno pesato sulla sterlina, che nelle ultime 12 ore ha perso contro l’euro quasi lo 0,50% - il cambio EUR/GBP è arrivato a toccare un massimo intraday di 0,89. Allo stesso tempo, la moneta unica resta cauta in attesa della riunione della Bce di giovedì, con i dati macro dell’Eurozona che fotografano una ripresa lenta.

Praticamente nulle invece le ripercussioni sul Ftse 100. Gli investitori non sembrano infatti ancora prendere in considerazione l’ipotesi di una effettiva uscita del Regno Unito dall’Unione europea e così, in chiusura, l’indice di Londra segna un rialzo del 2,39%, allineandosi al resto dei listini continentali che hanno dato il via alla settimana con rialzi compresi tra il 2% (il Dax) e l’1,30% (l’Ibex di Madrid).

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