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La guida definitiva alla psicologia nel trading

Quale approccio comportamentale influisce positivamente o negativamente sulle performance di trading? In questa guida di Bruno Moltrasio andiamo ad analizzare emozioni, rischi, decisioni ed errori che il trader deve affrontare.

Bruno Moltrasio Fonte: Bloomberg

Che ruolo gioca la psicologia nel trading?

Nonostante il web sia ormai inondato di moltissime tecniche di trading, in alcuni casi anche molto valide, dalle quali i trader possono attingere utili informazioni per la loro operatività, le statistiche ci dicono che solo pochi tra questi ottengono risultati positivi e soprattutto costanti nel tempo.

Penso che il vero problema alla base dell’insuccesso nel trading sia di duplice natura: da un lato abbiamo una forte incidenza della componente psicologica, quella psicologia del trading di cui ultimamente si sente tanto parlare; dall’altro lato la mancanza di qualsivoglia regola operativa e di money management.

Chiariamo subito che quando parlo di psicologia nel trading, non essendo io uno psicologo, non mi riferisco ai processi interni della mente, ma a quella componente del trading che riguarda ‘l’approccio comportamentale’ ad una specifica disciplina che sono osservabili da un operatore esterno.

Nel principiante che fa trading le emozioni sono alla base delle decisioni sulla sua operatività dando luogo a un tipo di trading compulsivo che è molto simile al gioco d’azzardo. Per questo occorre fare in modo di controllare queste emozioni con tutta una serie di accorgimenti. Vedremo qui come fare.

Quanto alle tecniche di trading adottate dall’uno o dall’altro trader non ritengo possano incidere più di tanto in quei casi di insuccesso clamoroso che, nel corso degli anni, mi è capitato più volte di sentir raccontare dai vari allievi durante le mie sessioni di coaching personali.

Quando, come nel mio caso, fai formazione sul trading ‘one-to-one’ ti senti spesso confidare quelle verità nascoste che nessuno racconterebbe mai neanche al più caro amico. Ti assicuro che ne senti di tutti i colori.

Dai racconti che mi sono stati fatti ho maturato la convinzione che la maggior parte dei trader sbaglia completamente l’approccio ai mercati finanziari perché non considerano il trading come una vera e propria professione.

Questi trader, o aspiranti tali, mancano in assoluto di un metodo di trading, ovvero non applicano in modo ripetitivo e costante una tecnica di entrata sul mercato, la medesima gestione dell’operazione associata alla tecnica adottata. Mancano poi completamente, o quasi, di una oculata gestione del rischio e non hanno la minima idea di quanto sia importante dimensionare opportunamente la posizione.

Penso che il disagio psicologico in cui molti di questi trader si vengono a trovare nel momento in cui hanno a che fare con portafogli abbondantemente in perdita sia proprio dovuto a un errore alla fonte che risiede nella problematica appena descritta.

In conclusione, l’idea che mi sono fatto (e me la sono fatta sul campo, come detto raccogliendo i racconti e le confidenze dei trader che ho formato nel corso di quasi vent’anni) è che la maggior parte degli errori, per non dire tutti, che vengono commessi dal trader inesperto derivino proprio da un approccio sbagliato alla operatività sui mercati finanziari.

Molti di questi trader conoscono benissimo tecniche che in astratto potrebbero anche essere profittevoli, ma la mancanza di un piano di trading li porta a commettere tutta una serie di errori che hanno conseguenze nefaste.

Uno degli errori più ricorrenti è che improvvisano l’uscita dal mercato anticipando il target, laddove avrebbero potuto far correre la posizione ottenendo una rendita sicuramente migliore.

La mancanza di quello che io amo definire un ‘piano di fuga’, porta con sé l’inevitabile conseguenza che questi trader ‘improvvisati’ si trovino disorientati e incapaci di qualsiasi reazione quando il mercato va contro la loro posizione, e omettano così di tagliare le perdite al momento opportuno, ovvero di utilizzare il famoso stop loss nel loro trading.

Di lì a poco questi trader si trovano a litigare con perdite ormai divenute talmente ingenti da indurli a spegnere il pc sperando che il mercato perdoni, prima o poi, la loro ingenuità.

Siccome al peggio non c’è fine, tra questi ‘trader’ c’è pure chi non ha operato seguendo un benché minimo controllo del rischio, così che, spesso, la conseguenza dei loro errori ha un effetto disastroso sui loro conti di trading e li portano a pensare (solo allora) che il trading non fa per loro, che il trading è una attività per professionisti.

Allora mi chiedo se quello che è stato per questi trader un punto di arrivo non potrebbe essere invece un punto di partenza: perché infatti non considerare il trading come una attività per professionisti sin dall’inizio? Potresti mai svolgere la professione di avvocato o notarile, di commercialista o di consulente del lavoro, oppure ancora diventare un ottimo dirigente d’azienda senza la dovuta preparazione professionale?

Non comprendo quindi perché per avviarsi ad una di queste professioni (ed avere successo) siano necessari anni di studio e di ‘gavetta’, mentre per fare trading a livello professionale non si ritiene di dover seguire lo stesso percorso.

La risposta, probabilmente, sta nel fatto che il trading è visto dai più come un gioco. A realizzare nell’immaginario collettivo quest'idea, contribuiscono senz’altro certe pubblicità che definire ‘ingannevoli’ è un eufemismo.

Dunque, in questa guida, darò il mio contributo a 360 gradi su questo importante argomento, cercando di capire come la psicologia del trader, intesa, come già ho chiarito, quale approccio comportamentale al trading possa influire negativamente sulle sue performance. Metterò in evidenza, secondo quella che è la mia ventennale esperienza di trader e formatore, perché i trader perdono denaro e quali siano gli errori da evitare nel trading.

Fra i tanti aspetti importanti che determinano l’insuccesso nel trading rientra anche il fatto pacifico che molti trader non dispongono di un capitale minimo per fare trading. Dunque, tratterò anche questo aspetto di non poco conto che, unito ad un errato money management, porta spesso il trader inconsapevole a cadere nella margin call: termine che, per spiegarla in termini semplici e accessibili a tutti, sta semplicemente a significare che i fondi sul conto non sono più sufficienti a tenere aperte le posizioni.

Le strategie di money management, alla pari di quelle per la gestione del rischio e delle tecniche che determinano i setup di entrata in posizione, sono importantissime per migliorare la performance nel trading e, dunque, non vanno assolutamente trascurate.

Un altro elemento importante che ogni trader che si rispetti deve assolutamente conoscere è quello della leva finanziaria.

Vediamo subito, in breve, di che si tratta.

La leva finanziaria

Uno tra gli argomenti più spinosi da comprendere quando si inizia a fare trading è quello della leva finanziaria cui è strettamente connesso quello del margine di garanzia. Per questo molti trader se ne disinteressano e, interrogati sul punto, a volte neppure sanno rispondere correttamente. Eppure si tratta di un concetto fondamentale per chi opera sui CFD, derivati o Forex.

Prima ancora di fare il primo click con il mouse sulla piattaforma di trading, ogni trader dovrebbe comprendere a fondo il funzionamento della leva finanziaria, quali pericoli nasconde un suo uso distorto e come invece sfruttarla a proprio vantaggio.

Cos’è la leva finanziaria o effetto leva o ancora leverage?

Così come mediante una leva possiamo sollevare un peso molto più grande di quel che potremmo fare senza di essa, la leva finanziaria ci permette di investire capitali molto più grandi di quelli di cui disponiamo. Per dirla in termini molto semplici, la leva è un moltiplicatore. É come se moltiplicasse le somme che abbiamo a disposizione per fare trading. Per fare subito un esempio con un rapporto di leva 1:100 posso investire in un controvalore di €100.000 euro avendo soltanto €1.000 a disposizione per il mio trading. Quindi se il broker mi offre una leva 1:100 significa che per ogni 1 euro di cui dispongo posso muovere €100 sul mercato.

Vantaggi e rischi della leva

Se il vantaggio offerto dalla leva finanziaria salta subito agli occhi in modo evidente, si tratta come detto di poter investire somme ben più rilevanti di quelle di cui disponiamo, il rischio, che è strettamente connesso al vantaggio, spesso non è immediatamente percepito dai trader, soprattutto quelli alle prime armi.

Utilizzando la leva abbiamo infatti la possibilità di amplificare i guadagni perché questi verranno calcolati sul controvalore investito, quindi nel nostro esempio sui €100.000 con soli €1000 sul conto e una leva 1:100.

Chiaramente esiste il rovescio della medaglia perché l’effetto leva funziona specularmente nel caso le cose non vadano per il verso giusto.

Questo significa che si tratta di un argomento che bisogna conoscere a fondo ancora prima di cominciare ad operare. Infatti, usando opportunamente la nostra liquidità e la tipologia dei contratti su cui andiamo ad investire, è possibile dosare la leva finanziaria a nostro uso e consumo, limitando quanto più possibile l’effetto negativo che questa potrebbe avere sul nostro capitale grazie all’effetto moltiplicatore.

Per approfondire questo importante argomento puoi leggere la guida dettagliata alla leva finanziaria.

Le emozioni che il trader deve affrontare

Salvo che non si decida di affidare ad un software la gestione delle nostre operazioni di trading, l’operatività quotidiana sottopone il trader, soprattutto se alle prime armi, a tutta una serie di emozioni che, se non controllate, possono poi sfociare in uno stato di stress deleterio che può avere conseguenze negative anche sulla vita di tutti i giorni.

Paura, gioia, rabbia, frustrazione, avidità sono solo alcune delle emozioni che giornalmente prova chiunque si metta davanti ad un grafico e apra un’operazione.

Ciascun individuo poi vive l’operatività a modo suo e ciò dipende da tutta una serie di fattori che vanno dalla personalità dell’individuo, al suo benessere economico e dunque alla sua capitalizzazione, dalla eventuale necessità di ottenere profitti dal trading per il sostentamento suo e della sua famiglia, dal tempo dedicato al trading e via dicendo.

Le emozioni sono stati d’animo che non è possibile eliminare completamente. Quello che il trader può fare è gestirle, tenerle sotto controllo per evitare che sfocino, come detto, in uno stato di stress cronico che avrebbe incidenza negativa sulla vita di tutti i giorni.

Psicologia del trading

Ma come gestire le emozioni?

Il modo migliore è quello di eliminare quanto più possibile la discrezionalità nel trading, fissando per la propria operatività delle regole di comportamento da seguire sempre e comunque ogni volta che si apre una operazione.

In questo modo si evita di cadere nella trappola decisionale, ovvero nella necessità di dover decidere di volta per volta come comportarsi e come reagire di fronte alle avversità del mercato.

In secondo luogo è importante evitare accuratamente di incorrere in alcuni degli errori più comuni ai trader novizi che sono poi causa di perdite e dunque fonte inevitabile di forte stress emotivo. Vediamo insieme di che si tratta.

I 6 errori ‘psicologici’ che il trader deve evitare

La maggior parte dei trader quando apre una posizione è sicuramente convinta di poter realizzare un guadagno, ma le statistiche ci dicono che buona parte di loro perde denaro. Ma è proprio così?

Vorrei sfatare questa ‘falsa’ credenza e andare controcorrente perché secondo me queste statistiche rispondono a un problema che è mal posto.

Siamo così certi che un trader che abbia un discreto metodo per entrare sul mercato, che segua delle buone regole di risk e money management, che poi sia anche disciplinato perda effettivamente denaro nel trading?

La statistica dovrebbe piuttosto affermare qualcosa del tipo: ‘la maggior parte dei trader impreparati, indisciplinati e avventati perdono denaro; tutti nel lungo periodo, nessuno escluso con una percentuale prossima al 100% periodico’.

Se infatti esaminiamo le qualità dei trader che nel lungo periodo perdono denaro notiamo che hanno tutte le caratteristiche sopra menzionate: magari alcuni hanno anche una buona tecnica, ma sono tutti, chi più chi meno, indisciplinati, non hanno alcun controllo del rischio e, infine, non sanno cosa sia il money management.

Una breve parentesi per fare un piccolo distinguo mi sembra opportuna. Coloro che ‘nel lungo periodo’ perdono o comunque ancora non riescono ad avere risultati positivi con costanza sono sicuramente diversi da quelli che hanno approcciato i mercati finanziari pensando di potersi arricchire velocemente ma, loro malgrado, ne sono rapidamente buttati fuori. Questi ultimi ci hanno provato, forse senza molta convinzione, attratti dal marketing spietato di alcuni broker e formatori senza scrupolo che millantano guadagni immediati con poco sforzo, hanno sacrificato un capitale (grande o piccolo che sia) alla chimera dell’arricchimento semplice e rapido per poi decidere bruscamente che il trading non era il percorso migliore per loro.

I perdenti di lungo corso sono invece tutti quelli che si ostinano a sedersi al tavolo di un gioco del quale si rifiutano di approfondire le regole: a volte guadagnano e si esaltano, convinti di avere trovato la tecnica ‘giusta’, ma ben presto tornano a perdere e, indomiti, si rimettono alla ricerca del Sacro Graal. Tra questi ci sono anche coloro che accumulano una serie indefinita di trade vincenti per poi andare incontro a una perdita che si ‘rimangia’ tutti i guadagni fatti in precedenza e li riporta nella prigione del trading, ‘senza passare dal via’ come succede nel famoso gioco del Monopoli.

I trader perdono perché commettono errori ricorrenti. Vediamo di seguito quali secondo la mia esperienza sono i 6 errori ricorrenti che commettono i trader alle prime armi.

  1. Innamorarsi delle proprie scelte di trading
  2. Cambiare l’orizzonte temporale delle operazioni
  3. Non creare e seguire un piano di trading
  4. Non calcolare il giusto capitale per fare trading
  5. Incorrere in una margin call
  6. Non impostare correttamente uno stop loss

Innamorarsi delle proprie scelte di trading

Joe Ross, un noto trader americano, raccomandava di fare trading su quel che si vede (dai grafici) e non su quel che si pensa. Moltissimi trader prendono posizione sul mercato perché si fanno una idea (giusta o sbagliata che sia) sulla futura direzione del mercato. Se il mercato non va nella direzione prevista questi trader hanno enorme difficoltà nel cambiare idea e anziché convincersi che il trade è sbagliato (quel che stanno vedendo è qualcosa di diverso dall’idea che si erano fatti) insistono nel mantenere aperta la posizione trasformando quella che inizialmente era una piccola perdita in una voragine incolmabile.

Cambiare la propria idea, o meglio ammettere che era sbagliata ha un costo psicologico certamente maggiore rispetto a quello di incassare una perdita (almeno all’inizio).

La tendenza del trader, in questi casi, è quella di trovare una serie di motivazioni atte a giustificare la situazione, addebitando il fallimento a fattori esterni. È quindi il mercato a comportarsi in modo ‘inspiegabile’ e, di certo, non il trader ad aver sbagliato. Prima o poi il mercato realizzerà che la direzione corretta è quella scelta dal trader e tutto tornerà a posto. Generalmente la posizione viene poi chiusa quando la perdita diventa talmente ampia che il costo monetario supera quello psicologico: ora domina la paura di azzerare il proprio conto di trading mantenendo aperta contro trend la posizione. Spesso questi trader chiudono l’operazione solo quando la perdita è diventata insopportabile. E altrettanto spesso il mercato a quel punto finalmente ‘gira’.

Cambiare l’orizzonte temporale delle operazioni

La gran parte dei trader che ho conosciuto ha un orizzonte temporale molto breve: dagli scalper che aprono e chiudono le proprie operazioni nell’arco – a volte – di pochi secondi, ai trader intraday le cui transazioni durano da qualche minuto a qualche ora. In ogni caso, l’idea di partenza di moltissimi di questi trader è quella di chiudere le operazioni a fine giornata.

Almeno questo è ciò che è nelle loro intenzioni nel momento in cui aprono il trade.

Ma ben presto, se le aspettative non vengono soddisfatte e il mercato non si muove nella direzione desiderata, questi trader si trovano (o, meglio, dovrebbero trovarsi) nella necessità di far scattare lo stop loss e incassare la perdita.

Sembra una equazione molto semplice: stop loss = incasso la perdita e riparto con la prossima operazione. In fondo fa parte del ‘gioco’, non è così?

Eppure sono in molti ad ignorare lo stop pensando che prima o poi l’operazione tornerà in positivo. Le giustificazioni che portano ad avere questo atteggiamento sconsiderato sono molte e le più variegate e non è il caso di tornare su questo argomento: una su tutte, la più ‘bestiale’ che mi sia mai capitato di sentire è: ‘il mercato non ha capito niente’.

Qui il trader vuole avere ragione e ignora uno degli assiomi del trading: ‘il mercato ha sempre ragione’.

La conseguenza è che il trader mantiene il trade in perdita e trasforma l’operazione da breve/brevissimo termine qual era in partenza in un investimento multiday che nulla ha a che fare con il trading veloce.

Ovviamente mi guardo bene dallo stigmatizzare l’investimento di lungo termine, solo che non era questo l’obiettivo del trader.

É facile immaginare le conseguenze di questo atteggiamento erroneo. Le perdite aumentano sempre più nella maggior parte dei casi e il trade viene chiuso quando divengono insopportabili, come ho già sottolineato al punto precedente. Ma se questa è una delle più evidenti conseguenze di questa pessima abitudine, ce n’è uno che forse è da molti sottovalutato: quando hai una certa posizione la tua mente ignora tutti i segnali contrari perché tende a proteggere il tuo operato e a giustificarlo. E, così, oltre al danno la beffa: se fossi rimasto flat e avessi incassato la perdita probabilmente avresti aperto una posizione contraria grazie ai nuovi segnali che il mercato ti offriva e avresti potuto recuperare il maltolto.

Non creare e seguire un piano di trading

Per risolvere molti dei problemi di cui abbiamo parlato è essenziale la predisposizione di un piano di trading. Ovvero l’insieme delle regole di ingaggio che servono poi per battere il nemico che, nel trading è il mercato.

Un buon piano di trading deve essere predisposto prima di aprire l’operazione e deve prevedere oltre alle regole di ingresso in posizione (il cosiddetto setup) anche le regole di gestione della posizione e quelle di uscita dal mercato.

Sulle tecniche di entrata non c’è molto da dire. Sappiamo tutti che ormai il web è pieno di queste tecniche più o meno valide ed è semplice attingere da questa fonte per costruire una strategia per iniziare a fare trading. In alternativa si può seguire un buon corso di formazione dove, normalmente, viene fornita una strategia preconfezionata che, se ben congegnata, ti fa risparmiare tempo e denaro.

Sulla tecnica c’è solo da dire che dovrebbe portare le probabilità di successo dalla tua parte, cioè considerando 100 trade dovresti avere almeno il 60-70% di operazioni vincenti.

Voglio invece soffermarmi sul problema dello stop loss che dovrebbe essere contemplato in ogni piano di trading.

Questo problema va a braccetto con il precedente: cosa c’è peggio di non rispettare lo stop loss? Non metterlo! Ebbene sì, non mettere lo stop loss è sicuramente un errore più grave di quello di non rispettarlo e può portare a risultati devastanti.

É semplice incoscienza.

Per questo è importante che lo stop loss faccia sempre parte di un piano di trading. Fino a che questi trader non capiranno che fare trading vuol dire confrontarsi in ogni momento con delle ‘probabilità’ e che, dunque, il trade ha solo ‘n’ probabilità su 100 di andare a target, si esporranno a un rischio illimitato: come diceva un mio caro amico: ‘chi non sa quanto rischia, rischia tutto ciò che ha’.

Non mettere uno stop loss in un piano di trading, significa non avere un piano di fuga nel caso le cose dovessero mettersi male e questo è davvero deleterio. Pensiamo soltanto a una improvvisa accelerazione nel verso contrario alla nostra posizione; se già non abbiamo preventivato cosa avremmo fatto in una simile situazione ci troveremo spiazzati e prima di realizzare quel che sta accadendo la perdita sarà arrivata a un livello tale che non avremo più la lucidità di reagire e fare la scelta migliore.

I trader ‘perdenti’ sono dunque vittime di questi comportamenti errati che in realtà affondano le proprie radici in un elemento comune: la mancanza assoluta di disciplina.

Dunque per migliorare le performance e uscire da questa spirale si deve avere ben chiaro cosa significhi la parola ‘rischio’. E dobbiamo accettarlo, non solo conoscerlo. Perché solo accettando il rischio di un'operazione, cioè valutando bene prima di aprire il trade quale sarà la perdita nel caso il mercato dovesse muoversi nella direzione opposta, si potrà accettare serenamente di aver sbagliato e far scattare lo stop loss.

Accettando e incassando la perdita ma preservando il capitale pronti a ripartire con il prossimo trade. Senza innamorarci della nostra idea… evidentemente sbagliata. Perché siamo noi ad aver sbagliato direzione, non il mercato.

Non calcolare il giusto capitale per fare trading

Qual è il capitale minimo che serve per fare trading: questa è una delle domande più ricorrenti che mi vengono fatte da chi vorrebbe cominciare a dedicarsi a questa attività. La risposta, come vedremo, dipende da molti fattori e in questo articolo vorrei fare chiarezza su alcuni aspetti che incidono sulla scelta del capitale iniziale.

Cominciamo subito con il dire che l’importo che decidiamo di allocare all’attività di trading, quale che sia l’obiettivo che vogliamo raggiungere, non deve essere un capitale che ci serve per ‘vivere’ ovvero per le necessità di tutti i giorni. Deve trattarsi, come mi piace definirlo, di un ‘capitale disponibile’.

Detto in altri termini, poiché il trading è una attività di rischio, alla pari di ogni altra operazione finanziaria, il denaro che dedichiamo al trading, se perso, non deve spostare in alcun modo l’equilibrio economico nostro e della nostra famiglia.

La domanda che dobbiamo porci è, se perdendo i soldi che abbiamo deciso di dedicare al trading, compromettiamo in qualche modo la nostra serenità familiare. In caso affermativo o riduciamo l’importo fino a rientrare nei parametri di 'tranquillità' oppure evitiamo di dedicarci a questa attività, almeno sino a quando non saremo in condizioni di avere da parte un capitale minimo che risponda ai requisiti richiesti.

Recentemente mi è capitato di incontrare un signore che, volendo seguire un mio corso in occasione di una offerta 'lancio' scontata per cominciare a fare trading applicando il mio sistema, mi ha chiesto se potevo mantenergli l’offerta per qualche giorno, per dargli tempo di svincolare i suoi risparmi investiti in piani di accumulo nella sua banca.

Poiché quelli erano i suoi unici risparmi, gli ho serenamente consigliato di lasciare perdere il corso e l’operatività reale, almeno al momento, e intanto di cominciare a studiare nel tempo libero in attesa di tempi migliori (leggi: in attesa di avere un 'capitale disponibile').

Penso che questa debba essere la filosofia di tutti coloro che si vogliono dedicare a quella che da molti è definita come una tra le più belle professioni cui ci si possa dedicare.

Superato questo primo ‘scoglio’ cerchiamo di capire quale può essere il capitale minimo da dedicare al trading. La qual cosa, come dicevamo all’inizio, dipende da molti fattori. Purtroppo la generazione che si avvicina solo ora per la prima volta al trading è figlia di pubblicità ingannevoli che millantano il raggiungimento della ricchezza o comunque guadagni a molti zeri partendo da poche centinaia di euro.

Anche se è vero che con l’avvento dei CFD - che offrono un’ottima leva sulla quasi totalità degli strumenti finanziari - oggi è possibile fare trading anche con poche centinaia di euro, è chiaro che iniziando con un piccolo capitale non possiamo seriamente pensare né di diventare ricchi né, tantomeno, di poter avere una rendita extra mensile degna di tale nome.

Possiamo invece ragionevolmente pensare, per così dire, di ‘farci le ossa’ sui mercati reali acquisendo la necessaria esperienza. Solo una volta ottenuti risultati stabili, potremo impiegare maggiori capitali e puntare ad avere una rendita extra mensile da aggiungere al nostro reddito derivante da lavoro (che, nel frattempo, consiglio nel modo più assoluto di non abbandonare).

Dunque cominciamo a mettere dei paletti: se abbiamo un ‘capitale disponibile’ che si aggira intorno ai 500 euro questo importo può essere sufficiente per iniziare se, e solo se, il nostro obiettivo è quello di verificare la nostra attitudine al trading e per verificare se siamo in grado di raggiungere risultati positivi e costanti.

Ma attenzione: non dobbiamo correre il rischio di utilizzare una leva esagerata. Ciò significa che dovremo aprire operazioni (e i CFD ci danno questa opportunità) con lotti molto piccoli e accontentarci di piccoli guadagni (e avere piccole perdite). Diversamente, usando il massimo della leva, rischieremmo di bruciare l’importo con pochissime operazioni. Se vuoi, puoi approfondire l’argomento nel mio articolo sulla leva finanziaria.

Se, e quando, l’obiettivo sarà invece quello di avere una rendita extra mensile, allora l’importo da dedicare al trading (e parliamo sempre di ‘capitale disponibile’ nel senso indicato) dovrà essere almeno di €3.000-5.000. Naturalmente l’operatività non potrà che essere sempre dedicata a strumenti come i CFD perché sarebbe impensabile, con questo capitale, operare su strumenti diversi che richiedono margini di gran lunga superiori a quelli richiesti dai CFD.

Con €3000-5000 - naturalmente una volta acquisita la necessaria esperienza e un buon metodo di trading - possiamo porci l’obiettivo di avere una rendita extra che si aggiri intorno ai €200-300 mensili, mantenendo un profilo di rischio basso. Potrebbero sembrare pochi in valore assoluto ma se consideriamo il ritorno percentuale sul ‘capitale di rischio’, si tratta di una rendita di tutto rispetto.

Incorrere in una margin call

Vediamo anzitutto cosa si intende per Margin Call, traducibile letteralmente con ‘chiamata di margine’, un termine molto, molto antipatico per tutti i trader (anche quelli più esperti). La Margin Call infatti è strettamente collegata alla possibilità che il nostro broker chiuda una o più posizioni aperte sul nostro conto trading nel caso in cui la perdita sia tale da far risultare i fondi depositati insufficienti a coprire il margine di garanzia.

La Margin Call è strettamente connessa all’utilizzo sconsiderato della leva finanziaria. Come ho già avuto modo di mettere in evidenza nell’articolo sopra ricordato, la leva presenta alcuni aspetti critici se utilizzata in modo sconsiderato, ma può diventare un ottimo alleato del trader che sappia come sfruttare al meglio le opportunità offerte da questo strumento.

Tramite la leva finanziaria, come abbiamo già visto, possiamo investire in un controvalore molto più grande di quello che effettivamente il broker trattiene dal nostro conto a garanzia del trade, il c.d. margine di garanzia.

La leva finanziaria, in pratica, moltiplica il nostro capitale consentendoci di eseguire operazioni che, altrimenti, non sarebbero alla nostra portata. Il fattore di ‘moltiplica’ è espresso con un rapporto (ad es. 1:100) che ci rende l’idea, in modo immediato, di quale sia il controvalore sul quale possiamo investire con la somma trattenuta a margine. Con leva 1:100, ad esempio, possiamo effettuare un investimento di €100.000 impiegando un margine di soli €1000.

Questa possibilità porta molti trader inesperti a pensare che si possa fare trading utilizzando un piccolo capitale iniziale che, grazie alla leva, può essere facilmente moltiplicato per fare subito soldi a palate.

La verità è che, così come la leva consente di moltiplicare il capitale, allo stesso modo agisce sui risultati dell’operazione, amplificando sia i profitti che, purtroppo, le perdite.

Così, se ho utilizzato una leva 1:100 e ho investito in un controvalore di €100.000, con un margine di garanzia di €1000, e tralasciando l’aspetto dei guadagni che ovviamente non comporta alcun tipo di problema (fino a che si guadagna tutto va bene) se ipotizziamo una perdita dell’1% sul controvalore su cui abbiamo investito, questa si tradurrà inevitabilmente nella perdita di tutto il margine impiegato.

La matematica non è un’opinione. Infatti 100.000 x 1% = €1.000.

Questo significa che l’intero margine che ho impiegato nell'operazione viene bruciato in un singolo trade. E, se voglio mantenere aperta la posizione, devo sempre avere una liquidità sul conto sufficiente a non intaccare il margine di garanzia.

Quando questa liquidità non è più sufficiente il broker ci avvisa che il saldo del nostro conto di trading non consente il mantenimento del margine di garanzia. A quel punto abbiamo due possibilità: o effettuiamo un nuovo versamento; oppure chiudiamo la posizione aperta (o in ipotesi, altre posizioni che abbiamo aperto sullo stesso conto, in modo da liberare liquidità). Se non lo facciamo, il broker è autorizzato a chiudere d’ufficio la posizione, o comunque a ridurla (laddove sia possibile e compatibilmente con le condizioni di negoziazione) in modo da riportare la normalità sul nostro conto trading.

Quindi abbiamo già capito che, a prescindere dal margine impiegato per l’operazione, sul conto dobbiamo sempre avere liquidità sufficiente per coprire quello che abbiamo pensato essere il nostro livello di stop loss, cioè la perdita massima preventivata per l’operazione che abbiamo aperto. E dovremmo anche avere capito quanto sia importante prevedere un livello di stop loss nella nostra operatività

Facciamo un esempio. Ho €1.300 sul conto e apro una posizione per la quale è necessario un margine di garanzia di €1000. In questo caso non devo (e non posso) avere uno stop loss che superi i €300 perché nel momento in cui l’operazione aperta va ad erodere quei €300 andrei potenzialmente ad intaccare il margine di garanzia e non potrei più mantenere aperta la posizione. Incapperei in quello che in gergo viene definito ‘margin call’ cioè chiamata a margine.

Questo è il motivo per cui non dobbiamo mai esagerare nell’utilizzo della leva offerta dal broker evitando così di incorrere in un errore che potrebbe essere fatale.

Non impostare correttamente uno stop loss

Come abbiamo visto un piano di trading che si rispetti deve sempre contemplare un piano di fuga, quello che va sotto il nome di Stop Loss.

Lo stop loss può essere definito come la massima perdita che il trader decide a priori di subire qualora l’operazione che si accinge ad eseguire non vada nella direzione voluta.

Definire l’ampiezza dello stop loss è importante per valutare il profilo di rischio dell’operazione, rapportando la massima perdita al potenziale profitto del trade che ci si accinge ad aprire.

Così posto il problema il neofita potrebbe pensare che impostare lo stop loss per la propria operazione sia questione molto semplice, ma non è così.

Diverse sono infatti le verifiche che il trader deve effettuare prima di concludere che lo stop loss è idoneo all’operazione che si accinge ad effettuare.

Anzitutto lo stop loss deve essere sostenibile; il che equivale a dire che il profilo di rischio definito dallo stop loss deve rispettare certe caratteristiche. Per semplificare possiamo dire che il rischio è sostenibile se la perdita non intacca in modo significativo il capitale a disposizione per il trading.

Generalmente può dirsi accettabile uno stop loss sulla singola operazione che non ecceda la fascia compresa tra l’1% e il 2% del proprio capitale; a condizione, ovviamente, di avere una strategia di trading di una certa efficacia. Allo stesso tempo, però, lo stop loss deve essere ‘intelligente’ cioè deve essere posizionato in punti strategici del grafico che stiamo osservando. A grandi linee possiamo affermare che lo stop loss va posizionato sotto (per operazioni long) o sopra (per operazioni short) punti importanti di swing del mercato, che possono essere supporti o resistenze a livello grafico.

Un consiglio operativo è quello di non posizionare lo stop esattamente sotto o sopra gli swing identificati come sopra, ma lasciare un po’ di respiro ai prezzi: cioè detto in termini più semplici, lasciare un po’ di spazio tra il massimo o il minimo precedente e il proprio livello di stop loss perché spesso questi livelli vengono ‘sporcati’ dai prezzi (c.d. false rotture).

Vediamo un esempio nel grafico che segue sul titolo ENI time frame orario.

Grafico titolo ENI

Nell’esempio che precede possiamo notare che i livelli di supporto e resistenza sono stati violati di pochissimo prima di vedere ripartire i prezzi in direzione contraria. Posizionando lo stop loss a soli 5 punti dai livelli indicati si sarebbe evitato di incorrere nella chiusura della posizione, evitando così lo stop loss per vedere poi i prezzi ‘correre’ nella direzione voluta per raggiungere il target.

La distanza dai punti critici di swing deve essere calcolata tenendo conto della volatilità dello strumento su cui si opera. Posizionare uno stop in punti diversi del grafico, al solo fine di ridurre il rischio, aumenterebbe considerevolmente la probabilità di vederlo scattare, con conseguente chiusura della posizione, per poi vedere i prezzi raggiungere il target che il trader si era prefissato. Ciò è dovuto, come detto, al rumore del mercato, cioè a quei movimenti che sono in larga parte dovuti alle operazioni di breve e brevissimo termine (scalping) poste in essere da molti trader.

Un’altra considerazione che deve essere necessariamente fatta nel momento in cui si decide l’ampiezza dello stop loss è quella di poterlo poi accettare con serenità. In altri termini la raccomandazione è quella di non impostare uno stop loss che non faccia sentire a proprio agio il trader una volta aperta l’operazione, con l’ovvia conseguenza che se il trade non va nella direzione voluta sarà talmente forte il senso di disagio spesso si sarà portati a chiudere anzitempo il trade, prima cioè che lo stop loss iniziale venga effettivamente raggiunto (per poi vedere i prezzi andare nella direzione voluta).

Insomma non è un caso se sullo stop loss e sul money management più in generale siano stati scritti veri e propri trattati, ma ad avviso di chi scrive già seguendo le poche regole che abbiamo qui esaminato sarà possibile evitare quelli che in massima parte sono gli errori più comuni che commette il trader alle prime armi nel posizionamento dello stop loss.

Un’ultima avvertenza: una volta impostato lo stop loss non c’è errore più grande che quello di spostarlo, per qualunque ragione, o peggio ancora, di toglierlo. È, questo, il miglior modo per vedere distrutto in poco tempo il proprio capitale di trading.

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L'autore della guida: Bruno Moltrasio

Avvocato, opera in Borsa dal 1998 come trader privato. Nel 1999 ha frequentato un Master di Analisi Tecnica dei Mercati Finanziari. È stato redattore e coautore di testi tra i quali 'Dal Trading Direzionale allo Spread Trading', nonché il fondatore dell'omonimo sito BrunoMoltrasio.eu, Culturafinanziaria.com, Universitrading.com e, non ultimo, Solospread.com. che tratta in modo specifico lo spread trading. Grazie ai suoi siti Bruno diffonde da anni l’analisi tecnica, quelle che considera le migliori strategie di trading e, soprattutto, quello che ritiene essere il corretto approccio psicologico e comportamentale ai mercati, per essere vincenti nel trading. È relatore in numerosi corsi, rivolti a privati e istituzionali, sull’analisi tecnica e sulle sue strategie di trading.


Queste informazioni sono state preparate da IG Markets Limited e IG Europe GmbH (di seguito "IG"). Oltre alla liberatoria riportata di seguito, il materiale presente in questa pagina non contiene uno storico dei nostri prezzi di trading, né alcuna offerta o incentivo a operare nell’ambito di qualsiasi strumento finanziario. IG declina ogni responsabilità per l’uso che potrà essere fatto di tali commenti e per le conseguenze che ne potrebbero derivare. Non forniamo nessuna dichiarazione o garanzia in merito all’accuratezza o la completezza delle presenti informazioni, di conseguenza, chiunque agisca in base ad esse, lo fa interamente a proprio rischio e pericolo. Eventuali ricerche fornite non intendono rispondere alle esigenze o agli obiettivi di investimento di un soggetto in particolare e non sono state condotte in base ai requisiti legali previsti per una ricerca finanziaria indipendente e, pertanto, devono essere considerate come una comunicazione di ambito marketing. Anche se non siamo sottoposti ad alcuna limitazione specifica rispetto alla negoziazione sulla base delle nostre stesse raccomandazioni, non cerchiamo di trarne vantaggio prima che queste vengano fornite ai nostri clienti. Vi invitiamo a prendere visione della liberatoria completa sulle nostre ricerche non indipendenti e del riassunto trimestrale.

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