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Che cos’è la Brexit?

Il Regno Unito ha lasciato legalmente l'Unione Europea il 31 gennaio 2020 e la separazione economica è stata finalizzata il 31 dicembre 2020. Scopri tutto quello che c'è da sapere su Brexit e su ciò che accadrà nel prossimo futuro.

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Cosa significa Brexit

La parola Brexit è una contrazione di 'British exit' e si riferisce all’uscita della Gran Bretagna dall'Unione Europea.

Brexit: cosa succede ora?

La Brexit è stata completata e il Regno Unito ha lasciato l'Unione Europea, quindi cosa succederà ora? Poiché le due parti sono state in grado di raggiungere un accordo, la partenza del Regno Unito è avvenuta a condizioni migliori rispetto a quelle possibili nel caso in cui non fosse stata raggiunta alcuna intesa. Di seguito abbiamo esaminato i principali punti critici dell'accordo.

Commercio

Non esistono dazi o limiti sulle quote commerciali tra Regno Unito e Unione Europea, ma alcune nuove verifiche e dichiarazioni doganali verranno applicate ai confini. Inoltre, esistono delle nuove restrizioni sui prodotti alimentari britannici inviati all'UE, come per le carni crude da congelare a -18 gradi Celsius prima di poter attraversare il confine.

Mobilità

I cittadini britannici possono ancora viaggiare in Europa, ma dovranno munirsi di un visto se vogliono rimanere per più di 90 giorni in un periodo di 180 giorni. Inoltre, i passaporti per gli animali domestici europei non saranno più validi. Al loro posto, i cittadini britannici dovranno ottenere un certificato sanitario (AHC) prima che i loro animali possano viaggiare con loro nel continente.

Pesca

Nei prossimi cinque anni e mezzo a partire da gennaio 2021, il Regno Unito acquisirà gradualmente maggiore controllo sulle sue attività di pesca. L'accordo permette ancora alle navi europee di pescare nelle acque britanniche, ma le navi inglesi guadagneranno costantemente una percentuale sempre maggiore della quota di controllo, con un trasferimento quasi totale nel 2021. A partire dal 2026 i negoziati saranno rivisti su base annuale, per decidere quale quota annuale sarà assegnata alle navi britanniche e quale sarà l'assegnazione per le navi europee. Dopo il 2026, se il Regno Unito lo desiderasse, potrebbe escludere totalmente le navi europee dalla pesca nelle acque del Paese, ma questo probabilmente innescherebbe una serie di rappresaglie da parte dell'UE.

Istruzione

Il Regno Unito ha perso il proprio posto nel programma Erasmus di scambio tra Paesi europei, pertanto gli studenti britannici potrebbero incontrare delle difficoltà a studiare nell'Unione Europea. Questo cambiamento non riguarda gli studenti dell'Irlanda del Nord. Il governo britannico ha annunciato un nuovo progetto di scambio, che inizierà a partire da settembre 2021, simile all'Erasmus ma aperto a studenti provenienti da tutto il mondo.

Corte di giustizia dell'Unione europea

La Corte di Giustizia dell'Unione europea (CGUE) non avrà più alcun ruolo nel sistema giuridico britannico. Nell'eventualità di controversie tra i tribunali inglesi e la Corte di Giustizia, le cause verranno sottoposte al giudizio di un tribunale indipendente. Tuttavia, la Corte di Giustizia Europea può ancora esercitare il proprio ruolo sull'Irlanda del Nord, poiché quest’ultima continua a sottostare ad alcune regole commerciali europee.

Sicurezza e protezione dei dati

Il Regno Unito non avrà più accesso automatico alle banche dati della sicurezza come quelle dell'Europol, ma potrà accedervi su richiesta. Gli accordi tra il Regno Unito e le forze di sicurezza dell'Unione Europea saranno simili agli accessi garantiti agli Stati Uniti.

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Cos'è successo dall'inizio a oggi

Referendum – Giugno 2016

Il referendum indetto nel 2016 porta più di 30 milioni di persone alle urne. Con il 51,9% contro il 48,1% trionfa la fazione a favore dell’uscita.

C'è una notevole differenza di voto tra le varie regioni: l’Inghilterra e il Galles votano per l'uscita, l’Irlanda del Nord e la Scozia per rimanere. La differenza maggiore tra le fazioni si è vista in Scozia, mentre nel Galles le percentuali rimangono molto vicine. L'affluenza generale di tutto il paese è del 72,2%. La votazione mostra una Gran Bretagna fortemente divisa e i mesi seguenti sono caratterizzati da negoziazioni, sfide e rappresaglie.

Regione A favore dell'uscita A favore della permanenza Uscita/Permanenza Affluenza
Inghilterra 53,4% 46,6% Uscita 73%
Irlanda del Nord 44,2% 55,8% Permanenza 62,7%
Scozia 38% 62% Permanenza 67,2%
Galles 52,5% 47,5% Uscita 71,7%

I risultati colgono il governo di sorpresa. David Cameron rinuncia al ruolo di primo ministro e Theresa May occupa il suo posto, cui segue la corsa al ruolo di leader del partito conservatore. Il nuovo primo ministro conferma l’uscita del Regno Unito dall'Unione Europea, con la sua famosa frase ‘Brexit significa Brexit’, nonostante si fosse battuta per la permanenza prima della pubblicazione dei risultati del referendum.

Entrata in vigore dell’articolo 50 – Marzo 2017

L’articolo 50 entra in vigore il 29 marzo 2017 e inizia il conto alla rovescia di due anni per la Brexit. Segue un periodo di pianificazione da parte dei negoziatori di UE e Regno Unito che dura fino a Giugno 2017, il mese in cui iniziano le negoziazioni vere e proprie. Nel frattempo, Theresa May induce le elezioni anticipate, nella speranza di aumentare la maggioranza parlamentare di ‘tories’ e di rafforzare il potere di negoziazione con i leader dell’UE.

Senza dubbio il piano si rivela un disastro, in quanto il partito conservatore perde la maggioranza ed è costretto a formare una coalizione con i democratici (DUP). Secondo alcuni questo ha indebolito considerevolmente il potere di negoziazione del governo poiché, per la ratifica dell’accordo, è necessario l’appoggio del DUP nel parlamento.

Inizio delle negoziazioni – Giugno 2017

Le negoziazioni iniziano ufficialmente il 19 giugno 2017 e il Regno Unito accetta la proposta di Michel Barnier, il negoziatore capo europeo per l’uscita dall'UE. La prima fase si conclude nel dicembre 2017, con accordi che prevedono un risarcimento finanziario fra i 35-39 milioni di sterline da parte della Gran Bretagna, una frontiera irlandese elastica e i diritti dei cittadini britannici ed europei che vivono al di fuori del proprio Paese.

La seconda fase dura fino la metà di novembre 2018 e si focalizza sulle future relazioni tra Regno Unito e UE. Come parte di questi negoziati viene garantito un periodo transazionale di 21 mesi, che inizierà subito dopo la data di uscita. Questo darà tempo alla Gran Bretagna di negoziare la futura relazione commerciale con l’Unione Europea.

L’accordo di Chequers – Luglio 2018

Il 12 luglio 2018 viene pubblicato il cosiddetto ‘accordo di Chequers’, il piano per l’uscita del Regno Unito dall’UE più dettagliato e completo disponibile riguardo la relazione che il Paese intendeva stabilire con l’UE dopo l’uscita dall’unione.

Viene approvato dal gabinetto britannico, ma rifiutato dall’Unione Europea nel settembre 2018. Michel Barnier, il negoziatore capo dell’UE, ribatte che l’integrità del mercato unico non è negoziabile e che la Gran Bretagna non può usufruire dei benefici del mercato unico secondo il proprio tornaconto. Il mercato unico si basa su quattro principi: il libero movimento di beni, persone, servizi e capitali. L’accordo di Chequers prevede invece solo alcune concessioni riguardo il libero movimento dei beni.

Il principale scoglio è rappresentato dal confine tra Irlanda e Irlanda del Nord, questione che può diventare ancora più spinosa nel caso in cui le due parti non siano in grado di arrivare a un accordo entro il termine del periodo di transizione. L’UE non può accettare un soft border con un Paese con diversi accordi commerciali.

La bozza dell’accordo della May e l’approvazione del gabinetto – Novembre 2018

Nel novembre 2018, dopo 18 mesi di negoziazioni, Theresa May propone una bozza al suo gabinetto, un erede del fallito ‘accordo di Chequers’. Questo nuovo documento propone una Brexit più flessibile: il Regno Unito avrebbe potuto, nel periodo di transizione, mettere in atto i propri piani per il commercio, il confine irlandese, i diritti dei cittadini britannici ed europei e altri temi che avevano causato dibattiti molto accesi nei mesi precedenti.

Il primo ministro, Theresa May, dichiara che il suo gabinetto aveva accettato il suo accordo ‘collettivamente’ il 14 novembre 2018, dopo una discussione di circa 5 ore. I resoconti della seduta dimostrano che non si è trattata di una decisione unanime, e suggeriscono che fino a 10 ministri furono critici rispetto il piano della May, soprattutto per la questione irlandese. Molti membri del gabinetto si sono dimessi, tra cui il ministro della Brexit, Dominic Raab e molti altri parlamentari che hanno espresso le proprie preoccupazioni riguardo l’accordo proposto.

Il 25 novembre 2018, un vertice dei leader dell’UE accetta l’accordo del primo ministro britannico. Dopo l’annuncio, il presidente della commissione europea Jean-Claude Juncker dichiara che non si tratta di un ‘momento di giubilo, ma un momento di profonda tristezza’, dovuto all’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea.

L’accordo di Theresa May viene sottoposto al voto del parlamento – Dicembre 2018

Il 10 dicembre 2018, un giorno prima della votazione dell’accordo su Brexit, il primo ministro della camera dei comuni, Theresa May, decide di rinviare il voto a causa della forte opposizione che incontra da parte dell'intera sfera politica e secondo le voci secondo cui sarebbe stato rigettato dal parlamento.

La May promette di tornare a Bruxelles per rinegoziare alcuni aspetti dell’accordo, specialmente riguardo la salvaguardia del confine irlandese e gli accordi commerciali con l’UE.

Mozione di sfiducia nei confronti di Theresa May – Dicembre 2018

Il 12 dicembre 2018, viene richiesto un voto di sfiducia verso il primo ministro da parte del suo stesso partito, con 117 voti a favore e 200 contrari. Ciò significa che il primo ministro non può essere sottoposto a questa interrogazione parlamentare da parte del proprio partito fino a dicembre 2019.

L’accordo della May viene respinto – Gennaio 2019

Dopo il rinvio del voto di dicembre, la nuova data è fissata per il 15 gennaio 2019. L’accordo della May è un disastro di entità storica, come ci si aspettava già per il mese precedente, con 432 voti contro e 202 a favore. La proposta includeva piani per i diritti dei cittadini britannici residenti nell’UE e dei cittadini europei residenti in Gran Bretagna, per l’esecuzione di un periodo di transizione, per un accordo di separazione di 39 miliardi e un piano per il contenzioso sul confine irlandese.

Molti parlamentari hanno ritenuto la bozza della May un accordo svantaggioso e non hanno dato il proprio appoggio. A causa della sonora sconfitta, Jeremy Corbyn propone una mozione di sfiducia del governo, fissata il 16 gennaio 2019.

Voto di sfiducia nei confronti del governo – Gennaio 2019

Il governo di Theresa May supera il voto di sfiducia del 16 gennaio 2019. Con il risultato di 325 a 306 e un margine minore rispetto a quello auspicato. Il DUP irlandese è stata la chiave della sua vittoria, senza il quale il governo avrebbe perso la fiducia del parlamento.

Il ‘piano B’ di Theresa May – Gennaio 2019

Dopo la sconfitta del 15 gennaio 2019, il primo ministro ha avuto 3 giorni lavorativi per proporre un 'piano b'. La sua proposta, presentata il 21 gennaio 2019, risulta estremamente simile all’accordo rigettato, con alcune lievi modifiche. Theresa May promette la revisione dell’accordo, specialmente riguardo il backstop irlandese, con l’intento di farlo approvare dalla camera dei comuni.

L’accordo di Theresa May sconfitto per la seconda volta – Marzo 2019

La proposta di Teresa May sulla Brexit viene respinta per la seconda volta il 12 marzo 2019. La disfatta non è schiacciante come quella del voto del 15 gennaio, ma con 391 voti contrari e 242 a favore, è stata un’altra sconfitta decisiva verso i suoi sforzi per le negoziazioni con l’UE durante il periodo di transizione.

I parlamentari vogliono evitare il no-deal – Marzo 2019

Il 13 marzo, i parlamentari hanno votato 321 a 278 a favore di una mozione per evitare il no-deal. Questo voto non è legalmente vincolante per l’UE, ma è una dichiarazione di intenti da parte del Regno Unito.

I parlamentari chiedono una deroga dell’articolo 50 – Marzo 2019

Il 14 marzo, i parlamentari hanno votato 413 a 202 per chiedere un’estensione dell’articolo 50. Successivamente Theresa May si è rivolta ai leader dell’UE per chiedere una deroga, che le è stata accordata.

Primo giro di votazioni indicative della Camera dei Comuni – Marzo 2019

Una serie di votazioni indicative si sono tenute il 27 marzo per verificare quali opzioni riscuotessero il maggior consenso da parte dei parlamentari. Nessuna possibilità emerge come maggioritaria; ciò nonostante la proposta di indire un secondo referendum è quella che ha ricevuto maggior appoggio. Non si è ancora deciso riguardo il secondo referendum ma molti sostengono che il risultato sarebbe opposto a quello della prima votazione popolare.

Non si è ancora deciso se questo secondo referendum si farà e molti sostengono che il risultato sarebbe opposto a quello della prima votazione popolare.

L’accordo di Theresa May viene respinto per la terza volta – Marzo 2019

Il primo ministro May si riunisce con i parlamentari del suo partito e i suoi ministri presso il comitato 1922 il 27 marzo, lo stesso giorno delle votazioni indicative, e assicura loro che, in caso di voto negativo da parte del parlamento, avrebbe fatto un passo indietro, permettendo a un’altra persona del suo partito di guidare le negoziazioni con i leader dell’UE durante il periodo di transizione.

L’accordo della May viene respinto per la terza volta il 29 marzo, con un margine di 344 a 286.

Secondo ciclo di votazioni indicative del parlamento – Aprile 2019

Il 1 aprile si è tenuto un secondo ciclo di votazioni indicative, per trovare una maggioranza rispetto le opzioni popolari del 27 marzo. La proposta del secondo referendum riscuote nuovamente successo, con 280 voti a favore, ma non passa a causa dei 292 voti contrari. Dall’altra parte, l’unione doganale con l’UE ha mancato l’approvazione per una differenza di 3 voti.

Le altre due opzioni sono state quelle della creazione di un mercato comune 2.0, dove si manterrebbe l’unione doganale, scartata per 21 voti e la proposta presentata dalla parlamentare Joanna Cherry di bloccare un’uscita senza accordo con l’abrogazione dell’articolo 50. Questa è stata la proposta meno condivisa della giornata, con solamente 191 voti a favore e 292 contrari.

L’emendamento di Cooper-Letwin – Aprile 2019

Il 3 aprile, i parlamentari votano 313 a 312 per l'approvazione delle emendamento di Cooper-Letwin, per un’ulteriore estensione dell’articolo 50 e per evitare il no-deal. Questo è stato il primo voto indicativo ad ottenere una maggioranza parlamentare, pur non essendo vincolante per l’Unione Europea.

Theresa May chiede un’ulteriore estensione dell’articolo 50 – Aprile 2019

Senza alcun progresso da parte del parlamento e con l’avvicinarsi del 12 aprile, la nuova data dell’uscita, Theresa May scrive a Donald Tusk il 5 aprile chiedendo l’estensione fino al 30 giugno 2019. Il primo ministro May mette in chiaro che, nel caso del raggiungimento di un accordo prima del 22 maggio, il Regno Unito non avrebbe preso parte alle elezioni europee.

La Gran Bretagna è obbligata a presentare dei candidati alle elezioni. Una volta raggiunto un accordo su Brexit da parte del parlamento britannico, i deputati britannici in Europa dovranno ritirarsi e lasciare i propri posti ad altri parlamentari provenienti dagli altri 27 stati membri.

La Brexit è rimandata al 31 ottobre – Aprile 2019

A seguito dell’incontro dei leader europei del 10 aprile, è stata concessa la deroga per la realizzazione della Brexit al 31 ottobre, sette mesi di distanza rispetto alla data originale del 29 marzo.

La Gran Bretagna può lasciare l’unione europea prima di questa data, ma solamente nel caso in cui la camera dei comuni approvi l’accordo del primo ministro.

Theresa May conferma la quarta votazione – Maggio 2019

Il 21 maggio, Theresa May annuncia una quarta e ultima votazione alla Camera dei Comuni, malgrado la forte opposizione da parte del proprio partito. Il comitato 1922 e il gruppo di ricerca europeo hanno fatto sentire la propria voce contro l’accordo e molti parlamentari hanno chiesto le sue dimissioni.

Le critiche sono così aspre da portarla a posticipare il voto, inizialmente pianificato per l’inizio di giugno. Un’ombra viene gettata sul suo futuro politico, con molti media che guardano alla fine del suo mandato in giorni e non più in mesi.

Theresa May annuncia le proprie dimissioni – Maggio 2019

Senza nessuna prospettiva chiara, Theresa May annuncia le proprie dimissioni il 7 giugno 2019 prima di quello che molti considerano il fallimento della Brexit. Svolge le funzioni da primo ministro fino il 23 luglio 2019, ossia fino all’elezione del nuovo primo ministro del partito conservatore.

Dopo il voto la May si è recata a Buckingham Palace per consegnare le proprie dimissioni alla regina e preparare la strada al suo successore.

Boris Johnson diventa primo ministro - Luglio 2019

Dopo un infuocato sconto tra svariati candidati, Boris Johnson è emerso vittorioso, con 91.153 voti dei 159.320 totali delle fila dei conservatori. Il secondo candidato, Jeremy Hunt, ne ha raccolti 46.656.

Ora Johnson avrà 3 mesi per assicurare un accordo di uscita per la Brexit approvato dai comuni o potrebbe dover affrontare un destino simile a quello di Theresa May.

Sospensione del parlamento- Settembre 2019

A circa un mese dalla sua nomina a primo ministro, Boris Johnson ha annunciato la sospensione del parlamento dal 9 settembre e la riapertura formale delle sessioni parlamentari il 14 ottobre. Sono state espresse critiche molto aspre riguardo questa decisione, soprattutto considerando che la data per l’uscita dall’UE è fissata per il 31 ottobre. Molti credono che si tratti di una mossa per forzare il sistema e procedere con il suo piano per la Brexit senza alcuna interferenza.

Voto parlamentare per evitare il no-deal – Settembre 2019

Il 9 settembre i parlamentari votano per scongiurare l’eventualità di un’uscita dall’UE senza accordo, prima che la sospensione diventi effettiva. Il risultato della votazione ha rappresentato una sconfitta significativa per Johnson, che ha fino al 19 ottobre per ottenere un accordo approvato dalla camera dei comuni o per convincere i parlamentari ad appoggiare la possibilità del no deal.
Nel caso in cui si superi questo termine o entrambe le alternative vengano respinte, il primo ministro dovrà chiedere una deroga all’articolo 50 e rimandare la data di Brexit al 31 gennaio 2020.

La sospensione viene giudicata illegittima- Settembre 2019

Per contrastare la sospensione del parlamento sono state aperte delle istanze legali presso la corte suprema. Il 24 settembre 2019, 11 giudici hanno decretato all’unanimità che la sospensione fosse illegittima, permettendo così al parlamento di riunirsi nuovamente.

Johnson presenta un nuovo piano a Bruxelles e sospende la sessione parlamentare - Ottobre 2019

In un ultimo disperato tentativo di risolvere la questione irlandese, Boris Johnson ha presentato un nuovo progetto all’UE, che prevede la permanenza dell’Irlanda del Nord all’interno dell’unione doganale europea per quanto riguarda i beni industriali ed agricoli. Questa soluzione, se approvata, sarebbe poi soggetta al voto dell’Assemblea dell’Irlanda Del Nord a Stormont e valida per un periodo di transizione, per poi essere ridiscussa con cadenza quadriennale.

Tuttavia, per tutte le altre tipologie di industria, l’Irlanda del Nord dovrebbe lasciare l’unione doganale europea. In linea teorica questo dovrebbe eliminare i possibili ritardi alla dogana. Il piano è stato accolto con apprensione da parte dell’UE, ma i leader di Bruxelles hanno riconosciuto lo sforzo e le concessioni del governo inglese.

A seguito di questa nuova proposta, Johnson ha sospeso i lavori del parlamento dall’8 al 14 ottobre, per permettere al governo di prepararsi al Queen’s Speech. La sessione parlamentare appena conclusa è durata 839 giorni ed è stata la più lunga della storia britannica.

Boris Johnson raggiunge un accordo con l’UE – Ottobre 2019

Il 17 ottobre il primo ministro Boris Johnson e il presidente della commissione europea Claude Juncker raggiungono un accordo su Brexit. La differenza rispetto alle proposte precedenti sta in alcune concessioni rispetto il confine irlandese, il punto più spinoso dell’intero accordo.

L’Irlanda del Nord continuerà a far parte dei territori del Regno Unito ma, allo stesso tempo, verrà classificata come punto d’accesso doganale verso il resto dell’Unione Europea. Secondo l’accordo il Regno Unito non imporrà alcuna tariffa sui prodotti inviati verso l’Irlanda del Nord, a meno che non siano diretti oltre il confine con la Repubblica d’Irlanda.

Queste condizioni commerciali saranno soggette a una revisione quadriennale di Stormont, momento in cui si potrà votare per mantenere o meno questi accordi. In questo caso sarà necessaria la sola maggioranza semplice per ottenere l’approvazione e non la consueta maggioranza sia all'interno del partito unionista che di quello nazionalista, come previsto per altri tipi di votazioni in Irlanda del Nord.

I parlamentari acconsentono alla votazione dell'accordo ma chiedono più tempo – Ottobre 2019

I membri della camera dei comuni hanno acconsentito a discutere e votare l’accordo di Johnson, ma solamente dopo un attento scrutinio. I parlamentari hanno dichiarato che la data d’uscita del 31 ottobre non garantisce loro abbastanza tempo per studiare ed eventualmente modificare il documento di 110 pagine.

Di conseguenza, Boris Johnson ha sospeso il processo legislativo per le votazioni, alimentando le congetture riguardo possibili nuove elezioni.

L’UE approva formalmente il rinvio - Ottobre 2019

Il 28 ottobre i leader dell’Unione Europea hanno garantito a Boris Johnson un’estensione di tre mesi rispetto al precedente termine del 31 ottobre. Questo significa che la data ufficiale per l’uscita è fissata al 31 gennaio 2020. Il Regno Unito può comunque uscire dall'Europa prima di questo termine, nel caso in cui il parlamento britannico e i legislatori europei raggiungano un accordo.

Iniziano le elezioni generali - Novembre 2019

Il 6 novembre 2019 inizia la campagna per le elezioni generali nel Regno Unito. Le votazioni sono state indette da Boris Johnson nel tentativo di sbloccare la situazione di stallo a Westminster e raggiungere una maggioranza nella House of Commons ed ottenere l’approvazione del suo accordo da parte dei parlamentari.

La Brexit è stata il fulcro della campagna elettorale, così come la sanità, l’assistenza all’infanzia, le questioni ambientali, le tasse e la spesa pubblica. Tutti i principali partiti si sono assunti l’impegno di aumentare la spese pubbliche, ma erano in disaccordo sull’aumento della tassazione.

Vengono annunciati i risultati delle elezioni generali - Dicembre 2019

I risultati delle elezioni vengono comunicati il 12 dicembre 2019. Il partito conservatore ha ottenuto la maggioranza con 80 nuovi seggi, mentre il partito laburista ha perso alcune delle proprie roccaforti. La sterlina si è mossa secondo le aspettative di vittoria dei conservatori, che è stata confermata dagli exit poll dopo la chiusura delle votazioni.

I risultati hanno garantito una maggioranza solida che può permettere l’approvazione dell’accordo di Johnson sulla Brexit, con il voto previsto prima di Natale.

I parlamentari approvano l’accordo d’uscita dall’UE - Dicembre 2019

Il 20 dicembre 2019, i parlamentari britannici hanno votato 358 contro 234 in favore dell’accordo di Boris Johnson. Questo è stato possibile grazie alla maggioranza ottenuta dal presidente con le ultime elezioni, con i parlamentari conservatori che hanno votato secondo le linee del proprio partito.

Il Regno Unito lascia l’Unione Europea - Gennaio 2020

La Gran Bretagna lascia ufficialmente l’Unione Europea il 31 gennaio 2020, e inizia un periodo di transizione che durerà fino al 31 dicembre 2020. Questa fase permetterà ai negoziatori di discutere e tentare di mantenere gli accordi commerciali in vigore tra l’Europa ed altri paesi, come il Canada, così come di definire un’intesa commerciale tra il Regno Unito e il vecchio continente.

L'UE invia una bozza dell'accordo commerciale al Regno Unito - Marzo 2020

Nel marzo 2020 l'Unione Europea invia una bozza dell'accordo commerciale post-Brexit ai negoziatori britannici, che lascia molti spazi vuoti e include una serie di variabili, ma comprende misure per la sicurezza, la politica estera e l'industria ittica. Lo scoppio della pandemia legata al coronavirus ha costretto i negoziatori a esplorare vie alternative per continuare le proprie discussioni, incluso l'utilizzo delle video chat.

La bozza dell'accordo include diverse proposte quali un consiglio di partenariato congiunto con 16 sottocomitati, tra cui uno dedicato alla concorrenza di mercato, alle leggi fiscali, alle norme del mondo del lavoro, alla sistema previdenziale e all'ambiente. Oltre a questo, include anche la sottoscrizione di un accordo a lungo termine per i diritti di accesso delle imbarcazioni europee in acque britanniche, con negoziazioni annuali per espandere o rivedere le disposizioni in vigore.

I divari si ampliano - Maggio 2020

Nel maggio 2020, il negoziatore capo dell'Unione Europea, Michel Barnier, suggerisce che le domande del Regno Unito non siano realistiche e lancia un monito riguardo un possibile stallo nelle negoziazioni. La Gran Bretagna rimane ferma nel mantenere la data di fine negoziazioni al 31 dicembre 2020, nonostante il coronavirus domini gli scenari politici mondiali e occupi gran parte del tempo dei leader internazionali.

Un punto importante per le trattative in questa fase riguarda l'accesso dell'Unione Europea alle acque territoriali britanniche, con il ministro Michael Gove che dichiara: 'l'Europa vuole avere lo stesso accesso alle nostre risorse ittiche di quando facevamo ancora parte dell'Unione Europea'. Esorta anche l'UE a mostrare flessibilità e rimane saldo sulla possibilità di raggiungere un accordo.

Downing Street conferma che le negoziazioni non si sono interrotte - Luglio 2020

Nel luglio 2020 si specula riguardo il mancato raggiungimento dell'accordo e l'interruzione delle negoziazioni. I funzionari di Downing Street rispondono sostenendo che non ci siano stati particolari sviluppi né battute d'arresto.

Le divergenze sulla parità delle condizioni per le imprese, l'amministrazione e i diritti di pesca persistono e un portavoce del primo ministro britannico dichiara che 'ci sono ancora differenze significative su una serie di questioni'.

Boris Johnson cerca di aggirare parte dell'accordo d'uscita dall'UE - Settembre 2020

Nel mezzo della pandemia da coronavirus, il primo ministro britannico partecipa a una chiamata con 250 conservatori membri del parlamento per chiedere il loro supporto sulla controversa legge sul mercato interno britannico (UK Internal Market Bill). La proposta, se approvata, darebbe la possibilità ai legislatori britannici di modificare le normative sul movimento delle merci tra Regno Unito e Irlanda del Nord ed entrerebbe in vigore il 1 gennaio 2021, il giorno dopo la fine del periodo di negoziazione.

L'Unione Europea chiede che questa proposta di legge venga subito scartata, in caso contrario la Gran Bretagna corre il rischio di allontanare l'Europa dal tavolo delle trattative. Il governo britannico sostiene che la legge sia necessaria alla protezione della pace in Irlanda del Nord e al rapporto tra il Paese con il resto del Regno Unito.

Le negoziazioni continuano anche durante la pandemia - Ottobre-Dicembre 2020

La pandemia da Covid-19 ha occupato le prime pagine dei giornali per gran parte del 2020, ma le negoziazioni sulla Brexit sono proseguite. I giornalisti hanno preso parte a diverse riunioni dell'ultimo minuto a tarda notte tra negoziatori britannici e quelli dell’UE, nel periodo precedente la data di uscita ufficiale del 31 dicembre 2020, quando i dettagli finali dell'accordo, soprattutto quelli riguardanti la pesca, sono stati risolti e siglati.

Il Regno Unito lascia ufficialmente l'UE - 31 dicembre 2020

Alle ore 23:00 (orario CEST) del 31 dicembre 2020, il Regno Unito e l'Unione Europea si sono legalmente e ufficialmente separate. L'uscita con un accordo ha reso la separazione più semplice di quanto sarebbe stata se non fosse stato raggiunto, ma la relazione tra la quinta economia più grande al mondo e il più grande blocco commerciale globale ora prevede più burocrazia e meno libertà rispetto al passato.